Articolo originariamente pubblicato su Cisco Blogs > Enterprise Networks:
Eric Marin (CTO Enterprise Networks EMEAR) fa quattro chiacchiere con Marco Misitano (Business Development Manager, Enterprise Networks EMEAR) sul nuovo protocollo IPv6.
È entusiasmante pensare a quello che accadrà all’ICT nei prossimi anni. È anche lecito domandarsi: la rete è pronta? Il nuovo protocollo IPv6 avrà o no un ruolo?
Ho chiesto a Marco Misitano, Business Development Manager nel mio team, a che punto siamo con la transizione al nuovo protocollo e cosa è lecito aspettarsi.
Marco, a che punto siamo con IPv6?
IPv6 ha fatto tantissima strada! Non è successo granché fino al 2011, quando sono terminati gli indirizzi IPv4. È quello il momento in cui è iniziata la valanga: abbiamo avuto il World IPv6 Day nel 2011 ed è andato così bene nel dimostrare che IPv6 funziona su scala globale, che nel 2012 c’è stato il World IPv6 Launch.
Il giorno dell’IPv6 Launch diversi siti web aderenti all’iniziativa hanno attivato il nuovo protocollo (assieme al vecchio), produttori per dispositivi di home networking hanno iniziato a offrire IPv6 abilitato di default su router e access point WiFi per uso casalingo e infine diversi service provider hanno iniziato a offrire connettività con il nuovo protocollo. E tutto questo non per prova per un giorno, per sempre!
Guardando ai fatti, è accaduto di più negli ultimi 2/3 anni che nella decade precedente. IPv6 ormai è fra noi. Uno smartphone nuovo? IPv6 c’è. Un Laptop attuale? L’ha a bordo. Si visionano contenuti su Internet? È probabile che siano disponibili anche in IPv6. Interagire con amici su Facebook, guardare un video su YouTube? Tutto abilitato con il nuovo protocollo! Collegamento Internet residenziale? L’offerta di connettività IPv6 residenziale è in crescita!
E queste, sono tendenze o sono dati di fatto?
Sono tutti dati di fatto, concreti. Per dare un’idea, Google conta quante ricerche provengono da browser abilitati ad IPv6 (v6 inteso sia come dispositivi che come collegamento internet). Guarda che trend, siamo oltre il 2% a livello globale.
Naturalmente dentro il dato globale c’è di tutto. Se guardiamo a paesi specifici, alcuni sono molto più avanti. Ad esempio il Belgio ha oltre il 4% degli utenti residenziali abilitati ad IPv6:
La Svizzera di recente ha superato il 10%:
La Germania , a partire da settembre 2012 ha avuto una progressione lineare fino all’attuale 5%:
La Romania nella primavera del 2012 è passata da zero ad oltre il 7%:
Mentre l’Italia è ancora sulla linea di partenza, senza numeri particolarmente significativi.
Per rendere più semplice districarsi fra tutti gli indicatori di adozione secondo diverse prospettive e diversi paesi, abbiamo creato 6lab.cisco.com/stats, un sito web che aggrega tutte le statistiche incluse percentuali di utenti, indirizzi v6 allocati, e molto altro. Basta andare sulla cartina e passarci sopra con il mouse per vedere come si relaziona la propria area o paese ad altre zone.
Quali sono i principali driver per queste tendenze?
Sono due. Il primo è Internet of Things, o come ci piace chiamarlo alla Cisco, Internet of Everything. Con questo fenomeno ci sarà un’ondata d’innovazione grazie ad oggetti che si connettono fra loro. Gli scenari saranno negli ambiti più disparati: sanità, trasporti, logistica, manifatturiero, pubblica amministrazione e difesa giusto per dire I primi che vengono in mente. E non dimentichiamoci l’impatto in ambito consumer. Alcuni esempi: degenza e monitoraggio remoto , controllo del bestiame, per la logistica consegne più rapide (visto l’esperimento di Amazon che consegna con i droni? ), autostrade intelligenti e strade più sicure grazie ad auto intelligenti in grado di ricevere informazioni dalla strada come da altri veicoli. E per finire, qualunque cosa abbia in mente Google con l’acquisizione di Boston Dynamics che produce robot.
Questi sono tutti esempi d’innovazione grazie ad oggetti che si collegano fra loro oppure alla rete. È vero, alcuni collegamenti potrebbero avvenire con comunicazioni a corto raggio con I protocolli più disparati, ma il vero valore, la vera innovazione si esprime tramite una piattaforma comune come il protocollo IP. Il problema è che la vecchia versione, ancora largamente in uso (IPv4) semplicemente non ce la potrà mai fare ad accomodare questa esplosione di nuovi dispositivi collegati. Il motivo è semplice: la versione attuale di IP (IPv4) prevede uno spazio d’indirizzamento di 4.3 miliardi circa.
Significa massimo 4.3 miliardi di cose o persone collegate. C’è largo consenso sulle stime che prevedono cinquanta miliardi di oggetti collegati che fra soli sei anni. Anche se esistono tecniche che stiamo già utilizzando per oltrepassare il limite, queste stesse tecniche produrrebbero effetti collaterali sempre più gravi se sfruttate in modo intensivo, e sarebbe un freno all’innovazione non solo in ambito IT, che nessuno si augura.
Al contrario, IPv6 ha uno spazio d’indirizzamento così ampio, che è il candidato ideale per essere alla base di Internet of Things. In altre parole, Internet of Things, Internet of Everything, non si materializzeranno senza IPv6 !
Hai detto due driver? Qual è il secondo ?
L’altro è il crescente utilizzo di smartphone. Ovvero il fenomeno per cui gli utilizzatori sostituiscono il cellulare tradizionale (voce e SMS) con uno smartphone. Molte aree del mondo sono già oltre il 50% di utilizzo di smartphone ed anche in Europa il fenomeno è simile. Cosa significa: una delle caratteristiche dello smartphone è di essere sempre collegato a Internet, e già questa potrebbe essere un’altra spinta a uno spazio di indirizzamento più ampio. Ma non è il solo elemento. Infatti, I nuovi telefoni mobili con tecnologia 4G/LTE, che stanno iniziando a essere sempre più diffuse, hanno IPv6 a bordo come protocollo di collegamento preferenziale. IPv6, infatti, è parte delle specifiche 4G e LTE. Con gli smartphone di nuova generazione si contribuisce non solo alla crescita della popolazione internet, ma anche a incrementare la percentuale di dispositivi che richiedono e preferiscono IPv6.
E questo trend sugli smartphone, è un fenomeno puramente consumer, oppure ha un impatto anche in altri ambiti?
Impatta sicuramente il segmento enterprise, e probabilmente avrà un effetto domino su molti altri segmenti. Faccio un esempio: per una banca il trend del mobile banking è di sicuro interesse. Lo è perché le persone preferiscono sempre più fare le operazioni bancaria da dispositivi mobili. Le stesse persone che presto avranno un dispositivo con connettività 4G/LTE, e quindi I cui dispositivi, abbiamo detto, “preferiranno” IPv6 per collegarsi al servizio di banking. In altre parole se una banca ha interesse per il fenomeno del mobile banking, dovrebbe assicurarsi di poter offrire gli stessi servizi anche in IPv6. Per I più nuovi dispositivi Android (4.4) T-Mobile ha deciso di implementare SOLO IPv6: cosa succederebbe se un utente di un dispositivo di questi volesse fare mobile banking e la banca in questione utilizzasse solo IPv4 ? Beh, I due protocollo non si parlano, quindi penso che potrebbe essere un pasticcio.
Più in generale, in futuro, non avere un sito abilitato a IPv6 vorrà dire perdere clienti! Questa infografica di ARIN (l’ente Nord-Americano che gestisce l’allocazione degli indirizzi IP) parla molto chiaro a proposito dei rischi di restare solo con IPv4.
Esiste oggi una killer application che funziona solo con IPv6?
Possiamo dire Internet? Secondo me la killer application è Internet stessa! Riesci a immaginare di vivere senza? Senza tutte le più disparate informazioni di cui puoi aver bisogno disponibili in ogni momento nel palmo della mano? Per quanto mi riguarda sicuramente la risposta è no, non potrei e mi piace pensare che questa evoluzione continuerà!
Siamo a un momento storico, la rete sta diventando davvero pervasiva, non solo in termini di accesso, anche di cose connesse, servizi, disponibilità delle informazioni, e IPv6 è un fattore abilitante importantissimo in questa transizione.
E giusto per essere chiari, non ci sono altre soluzioni in vista per permettere quest’ondata d’innovazione. Piaccia o no, la soluzione è IPv6, non è una questione di “se”, ma di “quando”, e se posso dare un consiglio, meglio prima che dopo.
Alla fin fine: la questione è lo spazio d’indirizzamento o c’è dell’altro?
Ci sono alcuni effetti collaterali positivi: con uno spazio d’indirizzamento più ampio non ci sarà bisogno di meccanismi per la condivisione degli indirizzi IP come il NAT. Finalmente avremo di nuovo la connettività end-to-end: il protocollo IP è stato disegnato come collegamento end-to-end, ma ormai è un vantaggio che ci siamo dimenticati.
Questo significa connettività a qualità più alta. Significa applicazioni web che funzionano meglio e che offrono una user experience senza compromessi in ogni situazione, piuttosto che soffrire o mal funzionare alla presenza di limiti al numero di connessioni concorrenti imposte dal NAT casalingo, aziendale o del service provider (Carrier Grade NAT). Ho già menzionato, e lo faccio ancora, lo studio che dimostra come una applicazione web come google maps ha problemi quando si limita il numero di connessioni.
In ambiente enterprise questo significa per esempio niente più soluzioni per la videoconferenza che funzionano male per via del NAT, questa l’ho sentita più volte!
Un’altra obiezione che ho sentito tante volte è che sbarazzandosi del NAT si perde in sicurezza: a chi crede così, rispondo intanto che NAT non è una funzionalità di sicurezza, il massimo che fa è dare un falso senso di sicurezza solo per il fatto di mascherare una parte della rete. E assicuro anche che esattamente la stessa cosa è possibile con IPv6, senza per questo utilizzare il NAT.
Per quel che riguarda quelli che chiamiamo i Megatrend, quindi, BYOD, video, Cloud, IPv6 che ruolo gioca?
È fondamentale! BYOD? Parliamo di persone che portano in azienda dispositivi con IPv6 a bordo, come si gestiscono senza offrire questa connettività? Che cosa fanno questi dispositivi, riusciranno a collegarsi ad esempio l’uno con l’altro? Riusciranno a fare un tunnel verso l’esterno? Alla fin fine quindi in ambito BYOD avere IPv6 sulla propria rete significa non solo offrire connettività nativa a questi dispositivi, ma anche gestirli al meglio.
Per quel che riguarda il video, abbiamo parlato della connettività end-to-end, e questo significa molto per il traffico video. Specialmente quando si parla di video su dispositivi mobili, gli stessi dispositivi che grazie al 4G inizieranno a preferire IPv6 molto presto, quindi la mia raccomandazione è: meglio avere I contenuti video disponibili in IPv6 da subito (YouTube, giusto per dirne uno l’ha già fatto!).
Pensando al Cloud, mi viene in mente la user experience di applicazioni web e la connettività end-to-end, e volendo possiamo anche espanderci all’ambito datacenter e considerare tutta la flessibilità introdotta dal nuovo protocollo grazie all’enorme disponibilità d’indirizzi.
E per finire Internet of Things. Ne abbiamo già parlato, ma vorrei ritornarci pensando alle Smart Cities e a tutte le possibilità di connettere cose fra loro: strade, auto, sistemi di gestione del traffico. Ma anche big data, cittadini, servizi, settore pubblico, sanità, informazioni dinamiche… insomma il futuro e vicino e sarà IPv6 a essere alla base di tutto questo.
Sagnalo fra l’altro che fra pochi giorni, a Milano ci saranno due eventi significativi che approfondiranno molti degli aspetti di cui abbiamo parlato. Cisco Live che ha una traccia di sessioni su IPv6 che approfondiscono lo stato dell’arte circa aspetti di sicurezza, deployment, adozione e così via per quel che riguarda IPv6, ed alla fine, il 31 di Gennaio, subito dopo Cisco Live avremo IoE Italian Forum, sempre a Milano.