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Allineare conversazioni interne ed esterne


18 July 2013


Intervista a Marco Minghetti (Direttore Generale Hitrea)

Parlare con Marco Minghetti arrichisce la mente e culla la fantasia. Sì perchè ti spiega come trasformare in realtà quello che tanti di noi sognano da tempo. Chiacchieriamo con lui di social organization.

Se nel post precedente abbiamo messo in luce come le soluzioni di Collaboration siano la piattaforma abilitante perchè l’azienda evolva da una modello organizzativo di tipo 1.0 (Scientific Management) a una social organization, ovvero a un modello 2.0 (Humanistic Management), oggi con Marco inquadriamo il discorso a livello teoretico.

Gli abbiamo chiesto di introdurci a definizioni, resistenze, potenzialità e benefici di questo innovativo modello organizzativo. Partiamo dalla definizione.

Marco che cosa si intende per azienda collaborativa o social organization?

“Si tratta di un’impresa che consente a un vasto numero di persone di lavorare collettivamente valorizzando al massimo grado le singole riserve di competenza, talento, creatività ed energia secondo quelle che sono le value proposition dell’azienda”.

Una social organization è quindi un nuovo modo di fare impresa che dà modo a un gran numero di persone, organizzate in community, di lavorare in modo collaborativo, sia on line che off line. Quindi parliamo non soltanto di ridefinizione di processi (attraverso la scelta delle opportune tecnologie sociali da implementare) ma anche di ripensamento degli spazi fisici, primo fra tutti la logistica.

I tre pilastri di una social organization sinteticamente si fondano su:

  1. Utilizzo dei social media (ossia ambienti on line).
  2. Community on line e off line (gruppi di persone con obiettivi comuni).
  3. Value proposition (proposta di valore – “il fine comune, la pietra di paragone in base al quale si misura l’efficacia di una community, l’adeguatezza della tecnologia sociale da utilizzare, la coerenza con gli obiettivi di business, l’efficienza della leadership”.

Parliamo ora dei processi coinvolti nella trasformazione dell’azienda 1.0 verso una 2.0.

“Lo sviluppo di modelli di management orientati alle logiche della social organization potrebbe generare un valore compreso tra i 900 e 1.300 miliardi di dollari, in base all’ultimo Rapporto sulle potenzialità ancora inespresse dai social media in termini di generazione di valore per le aziende, pubblicato da McKinsey.

Cifre da “capogiro” e che devono far riflettere soprattutto nel preciso momento storico che stiamo attraversando. Ciò che emerge dalla precedente affermazione di Marco è che esiste un vero “tesoro nascosto” che potrebbe emergere se solo le aziende non continuassero a vivere in un immobilismo “manageriale”.

L’analisi effettuata da McKinsey fa emergere che tutti i processi possono essere coinvolti nella trasformazione in aziende collaborative, ma quello che sicuramente impatta a catena su tutti gli altri è il knowledge management.

“Qualsiasi sforzo organizzativo è infatti vano senza un impegno consapevole e convinto da parte del Top Management”.

Ritorniamo ai processi. Ogni processo è potenzialmente fruttuoso da un punto di vista social, purchè si parli ovviamente di aziende che hanno un numero elevato di dipendenti, processi knowledge intensive, una forte dispersione sul territorio nazionale e internazionale. Due tipologie di aziende a caso?  Banking e Pharma sembrano più adatti di altri a un siffatto sviluppo organizzativo.

Ad onor del vero va detto che non è necessario che tutti i processi debbano ispirarsi ai principi della social organization. Un buon punto di partenza è quello di creare un assessment, stabilire poi una roadmap che consenta uno sviluppo voluto e sostenibile: si rischia altrimenti di subire gli eventi esterni senza provare a gestirli e guidarli.

Un punto importante che Marco tiene a sottolineare è che tutte le aziende medie, medio grandi che lavorano a livello internazionale hanno capito quello che nel 1999 i signori del Cluetrain Manifesto avevano sottoscritto, ossia che i mercati sono conversazioni. Questo concetto si è allargato oramai a tutta la società.

Ma quello che le aziende stentano ancora ad allineare sono le conversazioni esterne con quelle interne. Se è vero che circa il 90% delle aziende nel mondo occidentale ha almeno una presenza sui social media, ed esternamente stanno fortemente evolvendo verso modelli di management 2.0, è altresì vero che i modelli interni sono ancora dominati da un modello di organizzazione “comando e controllo” (management 1.0). “Oggi molte aziende si trovano in questa condizione: il modello è destinato a fallire perchè crea situazioni di schizofrenia all’interno delle organizzazioni difficilmente gestibili”.

“Dobbiamo creare consapevolezza –  sottolinea Marco. Questo è un problema strategico da cui dipende anche il destino della nostra economia.  E la ragione per cui non riusciamo a vincere questa sfida è perchè nelle aziende, in maniera tetragona, ci si oppone all’inserimento di questi nuovi modelli di lavoro. Perchè? Perchè mettono in discussione il modello di gestione del potere interno così come sì  è via via configurato e sclerotizzato nel corso degli anni.

“È una grande sfida, la vera sfida: creare la consapevolezza degli enormi benefici, delle enormi potenzialità che questi tipi di modelli arrecano prima ancora che alle singole aziende al Paese intero”.

Affrontiamo ora con Marco un aspetto che ci sta particolarmente caro: il ruolo della tecnologia nell’evoluzione verso questo nuovo modello organizzativo.

La tecnologià è molto importante: va da sé che se le aziende non hanno risolto la sfida dell’Unified Communications non possono abilitarsi alla Collaboration. Prima dell’adozione di qualsivoglia tecnologia è necessario studiare i processi e identificare quale strumento/soluzione sia più idonea delle altre.

Altro aspetto da non sottovalutare è la formazione che deve sottendere all’introduzione di una nuova tecnologia nelle aziende. La resistenza al cambiamento passa anche da qui. Non è sufficiente il manuale d’uso, serve la condivisione e la capacità di  evidenziare benefici, opportunità e orizzonti che una determinata soluzione tecnologica è in grado di offrire a ciascuno nella propria attività lavorativa.

Un fatto che fa riflettere – ci svela Marco –  è che viviamo in un’epoca che, per la prima volta da quando si sono sviluppati i modelli industriali, dà modo alle persone di dotarsi a casa di attrezzature, tecnologie di comunicazione migliori di quelle che si hanno in ufficio. Questo fatto non è casuale:  non si investe più in tecnologia. E questo perchè il management ha timore di strumenti/tecnologie che putroppo non capisce e che mettono in discussione la gestione del potere così come la si conosce.

Siamo giunti al termine della nostra conversazione con Marco. Ammetto che dispiace chiudere: l’argomento oltre ad essere una risposta concreta e attuabile a un’economia in crisi e una tematica affascinante che in misura diversa tocca ciascuno di noi.

Ricapitoliamo i punti essenziali trattati:

  1. Necessità di allineare le conversazioni esterne con quelle interne.
  2. Far emergere il “tesoro nascosto” che un modello di social organization offre.
  3. Non agevolare alibi, fughe e resistenze ma creare consapevolezza: questo modello organizzativo oltre a semplificare la vita è strategico perchè ha un impatto economico fortissimo.

Grazie Marco.

NOTA:  i temi trattati nell’intervista sono sviluppati nel volume “L’intelligenza collaborativa.Verso la Social organization“.
Rimandiamo al sito www.marcominghetti.com per approfondimenti e per visualizzare la video intervista con David Bevilacqua (VP Sud Europa Cisco).

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